Art Director | Emilio Tini
Photographer | Francesco Andriolo
Interview | Icarius De Menezes

 


 

Criticato per essere troppo deejay, troppo guru, troppo artista, troppo imprenditore e persino troppo designer, Marcelo Burlon, argentino radicato a Milano da più di vent’anni, ha una chiara visione della cultura italiana nonchè una vasta cultura musicale, legate da un nitido concetto di “relazione e comunità”.
E’ un designer ma, sebbene venga riconosciuto come tale, questa è una parola che non lo identifica: lui è un “direttore d’orchestra” di persone e di situazioni, capace di guidarle con la testa e con ostinazione.
Con le sue abilità nelle pubbliche relazioni, Marcelo ipnotizza persone di ogni età e di qualsiasi paese.
Attraverso la sua musica affascina il pubblico e grazie alle sue doti eclettiche crea County of Milan e il suo lifestyle e nell’arco di 5 anni viene eletto come uno dei top brand dello streetwear internazionale.

Per definire e comprendere il suo universo, ci si può affidare ad alcuni concetti chiavi:

TRIBU’
Marcelo Burlon non si occupa solo di abbigliamento, ma di tanto altro, è un vero lidere. Ha un pubblico (soprattutto giovane) che lo segue fedelmente e con un senso di appartenenza tale da sentirsi parte di una tribù.
Il suo marcchio County of Milan è una sorta di tribù o comunità che prende forma dalla sua mente e dal suo DNA.

ART DIRECTOR
È la definizione migliore per lui: dirige un team di persone, come un “direttore d’orchestra”, dando chiare indicazioni e con una precisa strategia.

SCIAMANO DELLA MODA
La sua origine argentina emerge in ogni aspetto del suo lavoro: nelle grafiche che riportano simboli esoterici potenti, nel senso di aggregazione della gente che lo segue, dalla spiritualità da lui sviluppata e sottesa a tutto ciò che fa.

INTUITO
È il fil rouge che lo ha sempre guidato nella vita. “sentire” cosa può essere di successo, più che affidarsi a troppi ragionamenti. Benchè il suo marchio sia di fatto uno dei top dello streetwear intenzionale, Marcelo Burlon sostiene che non sono solo i vestiti a determinare il successo di County of Milan, ma anche ciò che gli gravita attorno: la sua musica, il suo lifestyle, i suoi amici, la sua spiritualità.
 


 
La sede del brand è da pochi anni in uno storico palazzo del primo Settecento, occupando un ufficio di 1000 mq. in piazza Cavour, a due passi da Via Della Spiga.
Il suo team di circa 40 persone lavora immerso in magnifiche stanze affrescate e sale di lavoro che si legano tramite corridoi neri.
Nell’ufficio stile lavorano principalmente giovani che producono collezioni di 600 capi a stagione; in 5 anni sono state realizzate 10 collezioni che hanno sfilato a Pitti. Sfila ogni stagione durante la Milano Fashion Week, generando grandi aspettative non solo per la sfilata, ma anche per la festa e la musica del dopo sfilata.
È stato aperto un negozio a Hong Kong e ne sono previsti altri cinque in Cina. Gestisce un fatturato annuo di 30 milioni soddisfacendo le esigenze di ogni sesso e ogni età (uomo, donna e bambino) e producendo circa un milione di capi all’anno, come afferma Burlon.

Marcelo ama definirsi uno sciamano della moda, capace com’è di coinvolgere migliaia di persone nei suoi rituali fatti di feste, musica, stampe in 3D e tanto altro.
Ha uno spiccato intuito nel comprendere ciò che le nuove generazioni si aspettano da un marchio, e uno stile di vita che ha contaminato amanti della moda, opinion leaders e soprattutto giovani che lo seguono fedelmente ostentando il mondo di County of Milan, sognando di essere Burlon, e indossando le grafiche con orgoglio, come i tifosi con la maglia della squadra del cuore. La verità è ciò che persegue: a Marcelo non interessano le opinioni altrui. Non è un problema per lui dichiarare di avere un profilo Grinder, o criticare la politica Italiana e il sistema. Oggi Marcelo è considerato un’icona gay (oltre che per la musica, grazie alle sue performance come deejay), pur essendo un riferimento anche di molti uomini eterosessuali.

Il suo successo è garantito dall’alta qualità di ciò che lui crea nella moda, nella musica e nel pubblico che lo segue; e tale alto standard qualitativo ha sempre segnato il suo percorso imprenditoriale facendolo diventare un personaggio interessante e coinvolgente nella scena italiana, senza però rinunciare ad essere una persona vera, diretta, carismatica e coraggiosa.

L’universo personale di Burlon vede il nero che contrasta con il bianco delle grafiche gotiche e i simboli esoterici, trovando ispirazione in luoghi selvaggi come la Patagonia, in teschi di animali come serpenti ed aquile in 3D.
La forza del suo marchio è tutta nella grafica. La croce del logo rappresenta la chiave dell’universo che racchiude tutta la vita.

Con una collezione di 15 magliette indossate dalla modella Lea T, Marcelo Burlon lancia il marchio County of Milan nel 2012.
Dopo 10 collezioni festeggia una crescita velocissima per un uomo che fa moda senza essere un vero designer nella essenza della parola. La sua collezione è 100% Made in Italy, e il suo logo porta il nome della città.
 


 

INTERVIEW:

I: Come inizia la Saga Burlon?
M: Ho iniziato all’età di 16 anni lavorando di notte e occupandomi di clubbing. Per fare un certo tipo di lavoro devi essere legato a un’immagine; partendo da questa ognuno sceglie la propria. All’epoca la mia strada e gli amici mi hanno portato a scegliere dei punti di riferimento che erano molto concettuali, di nicchia, come i club in cui lavoravo. Nei privè c’era sempre un certo genere di pubblico. Quelli erano i primi anni di Martin Margiela e dei nuovi designers mondiali, che erano i nostri punti di riferimento.

I: Come è iniziato County of Milan?
M: Sono andato in Argentina, dove sono rimasto per un mese a fare ricerche ovunque, nelle librerie, nei musei; ho ribaltato tutto e tirato fuori quello il concept del marchio.
La stampa della moda, che già mi seguiva per i miei eventi, ha iniziato a dedicare pagine intere alla mia persona e al mio lavoro. Una volta ottenuta la fama nella stampa per le feste che facevo, è arrivato il momento giusto per lanciare il mio marchio made in Italy, gli occhi della stampa e dei buyers erano già su di me.
Inizialmente si vendevano solo di t-shirts: la prima collezione ha venduto 2.000 pezzi, la seconda 5.000, la terza 15.000, la quarta 25.000, con una crescita costante di stagione in stagione. Le prime tshirts e felpe sono state prodotte grazie ad un’azienda ma i risultati non sono stati importanti; i primi successi sono arrivati con Davide de Giglio e Claudio Antonioli, che hanno fondato con me la County Srl e con cui siamo subito partiti con una collezione total look dando un grande upgrade al marchio. Davide e Claudio mi hanno dato la possibilità di costruire una collezione completa, che ha potuto sfilare al Pitti a Firenze. Oggi County of Milan sfila a Milano durante la settimana della moda uomo.

I: Quando lavoravi nel clubbing, avresti mai pensato che saresti diventato un designer?
M: Non ho mai voluto diventare un designer. Ho sempre voluto avere una struttura da poter guidare, quello che faccio è infatti indirizzare i miei stilisti e grafici. Essendo un art director, conosco molto bene il mio pubblico, so quello che vuole e cerco di mantenere un dialogo diretto con lui, non solo con la moda, ma anche attraverso la musica che suono. E questo fa la differenza.

I: Sei un clubber? Com’è stato il tuo inizio e come ti sei avvicinato alla
moda?
M: Io sono un clubber tutt’ora.
La scena clubber in Italia era di base a Rimini a Riccione: era lì che tutto prendeva vita, con stilisti come Gaultier, Rifat Osbtek, Marc Jacobs, che producevano le loro collezioni a Cattolica e dintorni e che frequentavano i club della zona. Frequentare quindi questi luoghi e queste persone mi ha portato di conseguenza ad avvicinarmi spontaneamente a quel genere di ambiente.
Poi sono arrivato a Milano dove ho iniziato come modello per Nose, un marchio di scarpe, diventando loro testimonial e avendo diverse uscite in riviste come The Face e ID.
Nel 1998 ho iniziato a lavorare ai Magazzini Generali, club di riferimento delle serate milanesi e lì ho avuto il primo approccio vero e proprio con la moda. Frequentavo molti stilisti, tra cui Stefano Gabbana, il quale, durante una serata, mi chiese di curare le pubbliche relazioni per la sua azienda. Lavorando in un ambito come questo, è molto facile venire a contatto con altre proposte. Una delle più importanti è aver potuto contribuire alla crescita della rivista Rodeo Magazine curando una pagina di lifestyle.
In seguito ho avuto collaborazioni in qualità di Fashion editor, Fashion Director, ed infine Editor in Chief. Dopo l’esperienza in D&G, iniziai a lavorare per Alessandro Dell’Acqua come celebrities PR.
 


 

I: Hai avuto una agenzia di eventi?
M:Con la mia agenzia mi occupavo di organizzare eventi per marchi come Prada, Chanel, Versace (aperture di negozi, feste). I miei punti di forza erano gli invitati e la musica.

I: Sei sempre stato un “ponte” tra il marchio e il pubblico?
M: Allora il pubblico era di nicchia; io guidavo un certo genere di persone e i marchi che usavano la mia figura professionale per raggiungere queste persone. E a quell’epoca il club era il luogo più efficace perché lontano dai social media.
Io raccontavo un concetto o un’immagine del marchio al mio pubblico attraverso le feste e gli eventi; successivamente ho iniziato a suonare come dj in diverse città come Milano, Mosca, Istanbul, Toronto, NY, e mi sono creato un certo tipo di pubblico che mi seguiva con fedeltà.

I: Per un certo periodo hai collaborato come dj per sfilate di moda: eri quindi un sound designer?
M: Ho collaborato per tante sfilate durante la Fashion week milanese, per Alessandro Dell’acqua e altri. E’stata una bella esperienza perché conoscendo il concept dello stilista, potevo dare un suono alla collezione: la musica determina il racconto della collezione che lo stilista ha creato.

I: Qual è stato il motivo decisivo che ti ha fatto dedicare interamente al tuo brand, e non più all’agenzia di eventi?
M: Sentivo che il pubblico voleva qualcosa da me, avevo capito che dovevo costruire qualcosa per le persone che mi seguivano in tanti paesi e che volevano far parte di questa famiglia.

I: Come è nato il brand County of Milan?
M: Dai social media lancio il mio marchio raccontando la mia storia
attraverso le grafiche, il clubbing, la simbologia dei
nativi della Patagonia, Milano. Raccontarmi, e lasciare in mano alle
persone che già mi seguivano.
 


 

I: Come è stato per te a Milano all’inizio?
M: All’inizio è stata molto dura all’inizio perché nasco come una persona
multitasking, quindi sono stato mal giudicato; sono stato apprezzato solo quando è stato pubblicato un video nel New York Times, in cui mostravo che la mia abilità stava proprio nel riuscire a fare tante cose diverse tra loro.
Ma in realtà non ho mai voluto o dovuto dimostrare niente a nessuno, ho sempre fatto quello che sentivo. Non ho mai voluto seguire le regole di un sistema, soprattutto perché non mi ha mai aiutato. Spesso non sono stato considerato abbastanza all’altezza, anche da personalità importanti della stampa italiana.
Sono sempre stato appoggiato da persone più fresche e giovani; ad esempio nell’ambiente del giornalismo ammiro molto Sara Maino con la quale siamo amici e che mi ha sempre sostenuto. Poi ci sono quelli della vecchia generazione, della quale non ho mai fatto parte, ma che quando li incontro mi fanno mille complimenti, che forse non sono del tutto spontanei, ma semplicemente perché sanno che la mia azienda fattura milioni.

I: Quando ti sei reso conto che avevi conquistato i giovani con il tuo prodotto e il movimento che avevi creato?
M: Quando hanno iniziato a discutere alcune tesi di laurea sulla mia storia in diverse università di marketing & business, come la Bocconi e la Cattolica. In quel momento mi sono reso conto che ero un “argomento”, che ispiravo le persone e che attraverso la mia storia si rivedevano nel mio percorso. Stavo portando una cosa nuova.

I: Sei molto corteggiato e molti si avvicinano a te, vogliono entrare nel
tuo mondo. Sei consapevole di questo?
M: In Italia succedono cosa pazzesche, ad esempio a Napoli mi hanno seguito per 5 k per una foto con me.
In questi anni mi sono costruito una sorta di aura, che mi protegge da certe persone.

I: Qual è tuo pubblico?
M: Ho sempre cercato di fare qualcosa per tutti: etero, gay, lesbo, bambini, ecc.

I: Il pubblico gay si appassiona molto a te, magari per entrare nella moda, o avere l’accesso al tuo mondo. Come lo gestisci?
M: Capisco tutto al volo.

I: E il “Made in Italy”?
M: Il mio prodotto è tutto 100% made in Italy: stampiamo in Porta Nuova, parallelamente continuo con varie collaborazioni, ad esempio Kappa, e tanti co-brands.
Per me il Made in Italy è un valore, è la differenza.
 

Photographer Assistant | Emanuele Camisassa
Style Assistant | Mattia Rizzelo
Special thanks to Burlon’s Assistants | Philip Adrian Nicolò Chenet