Photographer | Cosimo Buccolieri

Text | Icarius De Menezes

Alessandro Dell’Acqua è stato una delle prime persone che ho conosciuto quando sono arrivato in Italia. Un napoletano vero, un designer d’eccellenza. Da 5 anni il suo nuovo brand, N°21, è citato tra le sfilate più “moderne” di Milano insieme a Prada e Gucci. Il lavoro di Alessandro Dell’Acqua nasce negli anni ’90 con un brand che portava il suo nome, circondato da supermodels come Eva Herzigova, Helena Christensen e tante altre icone che hanno raccontato la storia dello stilista appassionato dal color carne, che lo ha fatto diventare un trend tra le donne, influenzando anche altri marchi con la sua femminilità esplicita e la leggerezza dei capi. Leggerezza che definisce anche la sua persona, Alessandro è un designer nato, che con molta umiltà è riuscito a riscattarsi, reinventando il suo stesso brand e creando un seguito di donne che si identificano nelle sue creazioni.

Siamo stati accolti nell’ufficio di N°21, in un palazzo storico degli anni ’20 di Piazzale Susa, da un team giovane e discreto. Ad un certo punto compare uno dei suoi collaboratori: “Dov’è lo stilista? Ho bisogno della sua approvazione.” Alessandro è un vero stilista, conduce il suo team come nei tempi delle belle case di alta moda romane, dove si respira il disegno, la passione per il tessuto e il vero mestiere del sarto. L’installazione di luci e il gioco di specchi sono dell’architetto che ha ideato anche i negozi N°21, Hannes Peer. Riflessi, libri, affreschi, il contrasto tra un antico soffitto adornato da una moderna luminaria dà il tono di uno spazio intimo e fresco, il connubio tra l’antica tradizione e la contemporaneità che incarna N°21. Prima di arrivare nell’ufficio di Alessandro troviamo un’anticamera con pareti formate da file e file di riviste e libri di moda, un vero archivio di stile da consultare, un santuario di storia del vestito che dimostra il forte attaccamento del brand al concetto più profondo e antico di moda, con un’anima attuale. Presto il HQ di N21 si sposterà negli spazi di Via Archimede 26.

I: Perché hai deciso di diventare un designer?
A: In realtà sono partito dal cinema, non volevo fare lo stilista, volevo fare l’attore. Però poi mi sono “innamorato” di alcune attrici, quando ero molto giovane, da lì sono partito a guardare molto i loro vestiti e mi sono appassionato. Amavo molto le attrici italiane degli anni ‘50 – ’60, come Anna Magnani, Silvana Mangano, Monica Vitti e da lì è nata la mia passione per la moda.

I: Come vedi oggi la tua presenza nella scena italiana e mondiale? Quando hai iniziato non credo tu avessi immaginato un risultato del genere, ti rendi conto della tua responsabilità come designer?
A: In realtà, come ben sai, sono passati molti anni, ma per me è come se fossi ancora all’inizio. Non mi rendo conto del tipo di popolarità che posso avere all’esterno perché sono un po’ restio su queste cose, quindi faccio fatica a mostrarmi, mi espongo pochissimo, so poco di quello che pensano di me all’esterno, so invece esattamente quello che succede in base a quello che vendo. Sapendo di vendere in tutto il mondo so che comunque il mio nome è apprezzato, quindi, per me, questo è il tipo di popolarità che ho in questo momento.

I: Nel passato come ti sei sentito quando hai “perso” il dominio sul tuo nome come brand? Sei stato geniale in pochissimo tempo a ricostruire un nuovo marchio, com’è avvenuto per te, umanamente e professionalmente, questo cambiamento radicale?
A: È stato terribile, avevo pensato realmente di abbandonare tutto. Ho pensato di fare altro, ma cosa faccio, mi sono chiesto, se so fare solo questo? In realtà avevo pensato di tornare a fare l’assistente per gli stilisti, così avrei comunque cominciato a lavorare di nuovo. Il mio desiderio era andare a lavorare da Prada, fare l’assistente alla signora Miuccia, in quel momento avevo deciso così.

I: C’è stato un momento in cui hai capito che ci poteva essere un’alternativa come N°21 o un altro processo?
A: No, all’inizio è stato molto complicato, perché come tu ben sai, la gente ti abbandona nel momento in cui non sei più sulla cresta dell’onda. La gente sparisce in un attimo, quindi tutti sono spariti, nessuno si faceva più sentire e alla fine io mi sono fermato un attimo a pensare che non potevo stare senza lavorare. Perché  ho sempre lavorato, quindi per me non lavorare, stare a casa, era una tragedia.

I: Quanto tempo è durato questo periodo?
A: È durato più o meno 6 mesi, una stagione. Non tantissimo, ma per me è stato tanto.

I: Come è cominciata poi questa rinascita?
A: Ad un certo punto mi sono detto, perché non provare con una piccola collezione, provare qualcosa di nuovo. Pur essendo stato ricevuto da tantissime aziende italiane molto grandi, ho avuto un’enorme difficoltà perché non trovavo nessuno che voleva cominciare una start-up con un nome che non fosse il mio. L’unica che si interessò al progetto fu una piccolissima azienda di Bergamo, che aveva deciso di investire su 40 pezzi e così nel 2011 ho cominciato a fare la collezione.

I: E lì sei stato veloce nel fare tutta la procedura. Ti sei appoggiato a terze persone o sei stato presente in tutto?
A: Io sono stato molto presente e lo sono tutt’ora, perché per me N°21 è nato sotto una direzione precisa, non voglio mollare a nessuno questo tipo di cosa. N°21 è stata una collezione fortunata, perché da subito ha avuto successo, quindi è nata sotto una buona stella.

I: Perché il numero 21? Cosa significa per te questo numero?
A: Non potendo utilizzare il mio nome ho deciso comunque di voler usare qualcosa di mio: il 21 è il giorno del mio compleanno, poi ho fatto 2 + 1 = 3 che è il mio numero fortunato. Inoltre il 21, nella tombola napoletana, è la Donna Nuda, che per me rappresenta anche il color pelle, che ho sempre amato. Questo era il numero giusto.

I: Parli molto dell’estero ma essendo napoletano, sei molto legato alla tua cultura. Hai mai pensato di andare via dall’Italia?
A: Non ho mai pensato di andar via dall’Italia, io sono un italiano al 100% e voglio rimanere qui. Per me forse anche negli ultimi anni il Made in Italy non è stato molto considerato, ma comunque rimane sempre un punto di forza per tutta l’Italia.

I: Parlami un po’ del Made in Italy per te, tu dove produci la tua collezione?
A: In Gilma, a Cattolica ed è tutto fatto in Italia. Per me questo è importantissimo, preferisco che un capo costi qualcosa in più ma che sia di manifattura italiana.

I: Questo è molto bello. Visto che questa è una storia per giovani che hanno interessi nuovi, come fai a scegliere una persona che lavorerà per te?
A: È molto difficile perché sono molto esigente. Principalmente ho bisogno di una persona che disegni molto bene perché sono ancora vecchia scuola, sono molto legato al bozzetto, non voglio gente che lavora solo al computer. Devono avere uno stile molto coerente, non devono cambiare seguendo il trend della moda. Con i miei ragazzi litigo tanto, però gli dico che devono stare in quella situazione, rinnovandosi ma senza stravolgere completamente lo stile.

I: Questo è un grande periodo positivo per la tua carriera. Nonostante le tue collezioni e il tuo spirito moderno sei diventato un uomo maturo, com’è la relazione con la tua età?
A: Ho 54 anni. Non è molto facile, perché mi rendo conto che non sono più un ragazzino, quindi non voglio lavorare ancora per molto tempo, perché non voglio diventare come quegli stilisti che lavorano fino a tardissima età. Ad un certo punto voglio mollare, credo sia giusto lasciare spazio alle nuove generazioni, quindi massimo altri 10 anni di moda, poi basta.

I: Immagino che stia facendo tutto questo per lasciare in “eredità” il tuo marchio a qualcuno che gli dia continuità. Hai già un film nella tua testa?
A: L’unico film che ho in testa è che nel momento in cui lascerò, non vorrò più sapere niente della moda! Voglio andar via in un altro posto, non voglio più vedere un vestito. Quello che poi succederà al mio marchio non mi interesserà più. Sarà una storia chiusa.

I: Questo perché in qualche modo la moda ti ha consumato per provocarti questa reazione?
A: Ho vissuto fino ora principalmente di questo: La moda mi ha ‘mangiato’ da quando ho 18 anni.

I: Ma ti dà ancora piacere questo lavoro?
A: Si, ancora mi piace tantissimo, è questo che mi fa paura! Voglio anche allontanarmi da questa droga. A un certo punto voglio smettere e non pensarci più, perché penso sempre a questo, notte e giorno. La mia vita è molto legata al mio lavoro.

I: Quando paragoni N°21 al tuo marchio precedente storico Alessandro Dell’Acqua, cosa ne pensi?
A: Sono due cose molto diverse. Con Alessandro Dell’Acqua ero più inconsapevole, quando ho creato la collezione ero molto più giovane e avevo voglia assolutamente di apparire, uscire sul mercato ed essere  conosciuto. Adesso sento meno quella spinta, mi interessa che i miei vestiti escano dal negozio e che la gente l’indossi. Prima invece mi interessava lo show, la stampa e quelle situazioni lì.

I: La moda ha creato un meccanismo folle con le celebrities che devono indossare i capi. Com’è la selezione per N°21?
A: Sono molto selettivo, specialmente sulle celebrities, perché secondo me è giusto uscire con dei personaggi molto vicini al mio mondo, altrimenti il vestito non lo capisci. Siamo molto attenti a dare i vestiti solo a chi veramente è coerente con lo stile N°21.

I: Questa stagione ha sfilato anche l’uomo N°21, com’è avvenuto questo processo?
A: Credo tantissimo nella collezione uomo. È un momento un po’ complicato per la moda uomo in generale, nel senso che è più difficile lavorarci, perché l’uomo ha delle regole, la donna molto meno. Con l’uomo devi stare più attento, non puoi andare a fare delle cose che magari non metterebbe mai, certe silhouette devono essere molto precise. L’uomo vuole vestibilità, confort, la donna invece è più d’istinto. Però sono molto positivo nei confronti della collezione maschile, perché è una cosa che mi piace molto fare. Non ha ancora avuto un’esplosione come con la donna, ma sono convinto che questa cosa uscirà fuori e improvvisamente diventerà un grande successo, ma ci vuole tempo.

I: Perché sei scettico sulla collezione uomo? È un discorso legato al fatto che ti piace più disegnare la donna o è un fattore legato ai numeri?
A: La differenza tra la vendita dell’uomo e della donna è enorme, chiaramente io preferisco lavorare sulla donna perché mi diverto di più, sono più legato al quel tipo di collezioni, però l’uomo in questo momento mi intriga, è una cosa nuova. In realtà all’inizio non volevo farlo, sono stati i negozi a chiedermelo: “Ma perché non fai anche l’uomo? Ci piacciono le t-shirt, le felpe”. Però non vorrei che l’uomo di N°21 fosse solo t-shirt o felpa, voglio che sia un total look.

I: Parlando di stile, pensi a un uomo particolare? Distingui commercialmente l’uomo gay dall’etero?
A: In realtà quando faccio le prove da uomo, faccio passare solo quello che metterei, nel senso che se ci sono cose io non metterei mai, non passano. È molto personale come tipo di scelta, come se io avessi un guardaroba, il mio guardaroba lo scelgo io, poi chiaramente non è tutto così, però preferisco evitare certe cose molto eccessive. Poi invece ci sono situazioni che fanno parte del mio DNA, come ad esempio il pizzo, anche se io personalmente non metterei una camicia di pizzo, so che nel momento in cui la realizzo, in un modo molto maschile, può essere sexy su un uomo. Mi piace il lato sensuale sia sulla donna che sull’uomo. Per quanto riguarda invece la differenza tra gay e etero, penso che adesso ce ne sia veramente poca, anzi credo che l’etero sia più spinto su delle cose eccessive e il gay più ponderato.

I: In questo momento ti preoccupa l’opinione della stampa sulla tua collezione o non ti interessa?
A: Per me la stampa è una cosa molto importante. Chiaramente quando hai delle critiche a volte ti fanno ragionare e capire delle cose, a volte ti fanno solo incazzare, ma comunque la stampa è ancora molto importante. Cerco di presentare una sfilata che sia abbastanza importante per la stampa, ma dove dietro ci siano dei capi che si possono comprare normalmente, quindi bilancio molto le cose.

I: Ora è tutto cambiato, ex-modelle, bloggers, influencers che sono diventate le nuove giornaliste. Come vedi questi personaggi che sono nati negli ultimi anni?
A: La differenza è davvero notevole. Trovo che quello che c’è stato negli anni ‘90 non potrà più tornare, è completamente cambiato tutto, con gli anni sono cambiati i personaggi. Con l’ingresso dei social media è proprio cambiato il sistema, oggi vedi in prima fila meno stampa e più influencer, perchè è l’influencer a portarti più followers e più visibilità. È cambiato completamente il modo. Poi io ho ancora un grandissimo rispetto per alcuni giornalisti che sono ancora lì a fare il loro lavoro in modo importante, come Suzy Menkes e il modo consistente di porsi che aveva Franca Sozzani. Oggi in prima fila ci sono gli influencer, prima c’era la stampa importante.

I: Vedi l’influencer come un male necessario o come un cambiamento generazionale?
A: Io non lo vedo come un male, credo che ogni periodo abbia una sua situazione, questo è il momento dei social media, di quello che succede su Instagram, Twitter e tutto il resto. Sono questi i personaggi più importanti, hanno più followers loro che un giornalista di una grande testata. Se un influencer mette un capo, ti porta molte più persone, più visibilità e più vendita di quanto ti porterebbe un giornale di moda.

I: Come vedi quello che stai costruendo ora?
A: Dopo quello che mi è successo con Alessandro Dell’Acqua non faccio più progetti, vivo molto alla giornata, quello che succede succede, non faccio programmi a lunga scadenza! Forse è stato anche questo il successo di N°21, perché non c’è stata una strategia. Io non ho pensato, per esempio, ad una strategia sulle t-shirt, quelle che poi hanno portato il mio marchio a diventare popolare. Ho fatto delle magliette con il N°21 stampato a caratteri cubitali per le modelle che venivano a sfilare a Milano. Loro tramite i social media hanno cominciato a pubblicare le foto con queste t-shirt. Da lì, tutti le volevano, anche se non erano ancora in vendita e non sono state messe in vendita prima di due anni. I clienti me le chiedevano tutti, poi alla fine ho deciso di darne solo dieci per negozio e da lì poi è nata la collezione. È nato tutto da un regalo che avevo fatto alle modelle per gratitudine.

I: Sembrava che fosse tutto organizzato a tavolino. Business plan e meccanismi imprenditoriali.
A: No, niente, zero, io non guardo questi meccanismi, non so nemmeno cosa siano. N°21 è partito senza business plan. È chiaro che in questo momento ci sono delle persone che si occupano di quello, perché il business è cresciuto e lo devi seguire, però io non sono legato ai numeri,sono legato a quello che in questo momento penso sia giusto fare per il marchio. Non bado esattamente a seguire quello che mi dicono di fare i numeri, perché i numeri possono sbagliare, specialmente oggi che il mercato è così ballerino. Oggi ti sono fedeli, domani non più, quindi devi produrre  sempre qualcosa di interessante. È molto importante in questo momento avere una coerenza di stile, perché il mercato vuole riconoscere immediatamente il prodotto.

I: Tutta questa pressione ti fa soffrire in qualche modo?
A: Si, perché comunque questo è un lavoro che non ti lascia tregua, lo sai, oggi più che mai, perché ci sono le pre-collezioni, i flash di collezione, le sfilate ecc.

I: Quante collezioni fai ora?
A: Adesso tra N°21 e Rochas faccio 6 collezioni a stagione. Senza contare gli accessori. In totale sono quasi una decina di collezioni a stagione, che sono tante per sei mesi di tempo.

I: Sei il nuovo Direttore Creativo di un marchio storico francese, Rochas. C’è del Made in Italy nelle tue creazioni “francesi”?
A: Rochas è fatta completamente a Firenze, dalla Gibò, quindi è tutto Made in Italy. È un prodotto che a me piace molto perché è distante da quello che faccio, è quasi una couture come concetto. Posso lavorare con dei tessuti pazzeschi, utilizzare fornitori che con N°21 non potrei utilizzare, perché ho sempre cercato di mettere un prezzo accessibile pur mantenendo la qualità. Non voglio i che i vestiti costino 3 mila euro perche credo che soprattutto oggi sia un po’ stupido.

I: Com’è la struttura di Rochas in confronto a N°21? Il team?
A: Il team è lo stesso, gli stessi ragazzi che lavorano su N°21 lavorano anche su Rochas, così posso fare tutto da Milano. Andiamo a Firenze solamente per fare le prove, ma tutto nasce da questo stesso ufficio stile.

I: Ti rendi conto di far parte della storia della moda?
A: No.

I: Come vorresti essere ricordato?
A: Come uno che ha fatto molto bene il suo lavoro.

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